13 dic

Cervelli in fuga o talenti in Italia?

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Pubblicato da Davide

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Foto Flickr

Come mai oggi sempre più giovani coltivano il mito dell’espatrio? Siamo davvero messi così male? Molte statistiche confermano: l’Italia non è Paese per giovani laureati. Ogni tanto mi sovviene il dubbio.. Io, nel mio quarto di secolo, sono soddisfatto del mio primo lavoro post laurea, e vedo intorno a me diversi giovani che “fanno”. A volte mi chiedo se non sia  colpa del sistema mediatico, che promuove modelli “ignoranti” come riferimento.
Proprio ieri è arrivato wired di Dicembre, evidentemente ci sono diversi lettori che la pensano più o meno come me. Nelle lettere indirizzate al magazine si parlava di Lorenzo Thione, un ragazzo che ha fondato Powerset per poi venderla a Microsoft e farsi un bel gruzzoletto (100 milioni). La tecnologia di ricerca sviluppata da Thione è ora utilizzata per Bing, il motore di ricerca di Microsoft. Ora il fulcro non sta nel determinare se Bing è meglio di Google (su questo non c’è dubbio, il secondo è nettamente superiore), ma nel cercare di capire come mai in Italia nessuno ha mai sentito parlare di questo tizio.

Se uno vincesse 100 milioni al SuperEnalotto diventerebbe una star. I tiggì strillerebbero l’allegra notizia, e i quotidiani manderebbero un inviato nel paese natio per parlare con amici e parenti. Già mi vedo le dieci domande. Come ha fatto ad azzeccare la mitica sestina? Come spenderà questa somma pazzesca? E via così. I settimanali di gossip andrebbero a caccia delle foto di famiglia cercando di allestire flirt con veline o calciatori, mentre i politici proverebbero a tradurre la popolarità in una candidatura: “Fai come lui/lei, vinci al SuperEnalotto”. Per sua fortuna, invece, Lorenzo Thione, per fare 100 milioni, ha dovuto studiare, andare negli Stati Uniti, avere una buona idea e lavorare duro. Così ha fatto Bing, e lo hanno bellamente ignorato. Fosse mai che poi uno come lui diventa un modello. O una speranza.

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9 dic

PBWorks: collaborazione emergente? Può servire anche nella corporate intranet.

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Pubblicato da Davide

pbwiki

Ho cercato PBwiki e Google mi propone PBWorks. A volte le cose si scoprono anche così, cercandole. Magari sono pure arrivato lungo, perchè il cambio del marchio è avvenuto ad Aprile 2009. In ogni caso ciò che ho visto oggi è un tool di tutto rispetto, che ha messo da parte il suo taglio prettamente wiki e si propone come strumento di collaborazione per piccoli team di lavoro.

Una delle maggiori esigenze nelle aziende di oggi è la possibilità di avere uno spazio di condivisione facilmente estendibile verso l’esterno, per comunicare con clienti o fornitori, per fare co-design, per scambiare files e conoscenza. Cosa serve quindi? Un’area FTP (magari Tortoise per tracciare le versioni dei files), un wiki, e tanta (troppa) amministrazione. Cosa potrebbe sostituire queste cose? PBWorks: un wiki con un’area di gestione file dotata del versioning. Ma soprattutto uno strumento facile da utilizzare, che può benissimo essere aperto in autonomia da qualsiasi utente senza il supporto IT e che è in grado di gestire diversi profili di accesso: amministratore, editore, lettore, ecc..

Non mancano RSS, backup, personalizzazione dei colori e del logo. Sono tutte funzionalità che devono esserci e sono considerate commodity. Tipicamente ciò che fa la differenza in questi strumenti è la facilità di gestione.

Nell’ottica di intranet management, dare la possibilità ai propri utenti di aprirsi e configurarsi uno spazio di lavoro in autonomia è cosa buona e giusta. Può però diventare problematico quando vi è la necessità di aprire l’accesso verso l’esterno: clienti e fornitori non avranno mai un utente di dominio. Ecco allora che si passa nel campo della extranet.

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20 nov

Sharepoint: nascondere campi nei form tramite javascript

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Pubblicato da Davide

Tutto inizia da questo interminabile quanto esaustivo articolo: utilizzare un javascript per nascondere i campi nel form di inserimento (NewForm.aspx) oppure dal form di visualizzazione (DispForm.aspx) di una lista Sharepoint.

L’utilità? Lasciare ai soli amministratori la possibilità di editing di determinati campi.

Questo il codice di base proposto:

<script language="javascript" type="text/javascript">
_spBodyOnLoadFunctionNames.push("avvioControlli");
function avvioControlli() {
hideFields();
}
function findacontrol(FieldName) {
   var arr = document.getElementsByTagName("!");
   // get all comments
   for (var i=0;i < arr.length; i++ )
   {
      // now match the field name
      if (arr[i].innerHTML.indexOf(FieldName) > 0)
      {         return arr[i];      }
   }
}
function hideFields() {
   var control = findacontrol("Stato");
   control.parentNode.parentNode.style.display="none";
   control = findacontrol("Comments");
   control.parentNode.parentNode.style.display="none";
}
</script>

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19 nov

Psss.. Ho provato Google Wave!

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Pubblicato da Davide

Prove tecniche con Google Wave

Ebbene, da poco più di un mese Google ha lanciato la preview di Wave: un nuovo modo di comunicare e lavorare. Era da tempo che non riuscivo a stupirmi utilizzando una applicazione web.. I vari Facebook, SlideShare, LinkedIn, Flickr e tutte le loro spassosissime integrazioni mi avevano abituato a standard elevati. Anche se poi, diciamocelo, sono cosette. Che sul lavoro possono servire, certo, ma non sono fondamentali.

Skype, ad esempio, è una di quelle cose che in ambito lavorativo ti possono cambiare la vita: in bene o in peggio, questione di carattere. Ma restano i limiti di una messaggistica legata al testo.. dove un file arriva come qualcosa da scaricare e per cui è necessario individuare un posticino nel proprio disco fisso. Per non parlare dei limiti della messaggistica istantanea, se ti distrai un attimo è la fine.

La mail, beh.. Quando ho iniziato a utilizzare Gmail ho capito la differenza. E’ un amore che matura col tempo, se poi ti ritrovi dopo qualche anno a lottare con l’archiviazione automatica di Outlook (per non parlare delle funzionalità di ricerca), capisci d’un botto quanto sia diverso il concetto di mail tra Google e Microsoft. Eppure, dopo un po’, anche la mail ti sta stretta.. Se ne devono essere accorti dalle parti di Mountain View, perchè hanno iniziato a riempirla di applicazioni che ne estendono gli utilizzi: sono nate le Labs Features per Gmail. Ecco allora le foto di Flickr, i video di youtube, calendar, i task.. tutti assieme integrati in Gmail.

Poi il botto: Google Wave. Arriva proprio come un’onda, e ti accorgi subito dopo due o tre salti che questa è una rottura. Il concetto di mail si evolve e si fonde con quello della messaggistica istantanea. La comunicazione diventa al tempo stesso sincrona e asincrona. Non c’è più solo il testo, ci sono i video, i file, le mappe, tutto assieme in un unico flusso comunicativo. Così rifletti: non ci metti molto per capire che se i tuoi colleghi utilizzassero sta roba assieme a te sarebbe davvero diverso.

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5 nov

Ma tu hai il CED o l’ICT?

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Pubblicato da Davide

Può sembrare una domanda banale.. ma sotto nasconde la visione che l’azienda ha maturato rispetto all’impiego delle tecnologie IT.

Il CED lo conoscono tutti: Centro Elaborazione Dati. L’acronimo ICT che è? Information Communication Technology. Quando devi spiegare chi sei e dove lavori, lo nomini e magari qualcuno ti guarda storto.. qualche secondo di attesa, capisci, esclami “CED!”. “Ah.. al CED! Mamma mia..”.
Vi sono aziende che hanno la consapevolezza tale per sfruttare l’ICT come traino all’innovazione. Che investono in tecnologie informatiche proprio come si fa con la ricerca, che testano, sperimentano, abbandonano o si aprono alle tecnologie SOA. Altre che invece faticano a comprendere, tutto ciò che sta sotto a quel centro di costo è solo un costo, nulla più, e come tale va mantenuto basso. La differenza tra costo e investimento è enorme, proprio come quella tra CED e ICT.
Non vorrei banalizzare, non è sempre così, spesso magari è colpa solamente di un rettaggio tutto italiano: di quella cultura che vorrebbe il dialetto nelle scuole al posto dell’inglese. Però il dubbio resta.

Di certo l’Italia non brilla per gli investimenti in ICT, riporto un estratto dell’analisi svolta dall’Osservatorio SMAU – School of Management di Milano, condotta su circa 1200 imprese, con un numero di addetti compreso tra 1 e 500.

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